domenica, marzo 05, 2006

Evoluscion not Soluscion: ovvero, come imparai a camminare tanto senza andare da nessuna parte



“Chi mai sarà?? Vogliamo sapere tutto di lui!!” è questa la frase che da giorni vi starà frullando per la testa, cari amici miei, e da cui non riuscite a liberarvi. Avete provato con gli psicofarmaci; poi immergendo la testa in acqua ghiacciata a intervalli intermittenti (pratica sconsigliata a quanti – ed è una larga fetta di lettori del mio blog – son soliti portare a spasso la testa solo per poterci riporre dentro quei 2-3 kg di segatura e aumentare così il peso specifico della loro scatola cranica: la segatura potrebbe inumidirsi); alcuni avranno provato con l’ipnosi; molti di voi saranno ricorsi agli psicologi; i più ostinati alla cartomanzia, e all’astrologia; tutto questo per liberarvi dalla curiosità morbosa e irrefrenabile nel conoscere chi sono. Eccovi accontentati! Mi chiamo Giovanni, come i miei fan già sapranno, vivo a Roma, dove studio. Nato a L’Aquila, in terra d’Abruzzi, un lontano 17 ottobre (e non poteva che essere un venerdì) del secolo scorso, scoprii fin da piccolo le mie innate capacità intellettuali che tanto decantavano i miei nonni, e i miei genitori. “Che testa che ha quel ragazzino!, dicevano”. Anche i miei compagni d’oratorio la pensavano così, ma in un'accezione diversa: erano soliti usarmi come centravanti di “peso” (antica tecnica di gioco nel calcio dilettantistico, che consisteva nell’usare il centravanti di sfondamento – quale io ero – con mera funzione di intimidire psicologicamente gli avversari, sbuffando come un cinghiale al laccio e lanciandomi alla carica frontalmente a mò di ariete fino a che un ostacolo non faceva terminare la corsa). A fine anno il bollettino fu di 15 costole rotte degli sventurati terzini di turno, 22 contusioni nasali e settantatre pali della porta avversaria ammaccati. Lì capii che le mie grandi doti dovevano essere usate diversamente. Così quell’anno mi iscrissi a lezioni di pianoforte. Partii alla carica, ma inciampai sul gradino della porta il primo giorno di lezione, rompendomi 8 metacarpi e 4 falangi in fratture multiple e scomposte. Perciò, in quel lontano pomeriggio di seconda elementare, la mia prima lezione di pianoforte diventò anche l’ultima, e decisi che se dovevo diventare qualcuno, sarei diventato un karateka provetto. In realtà, in quel tempo la mia massima aspirazione era diventare spider-man, e dondolarmi da un grattacielo all’altro per spiare le toilettes delle donne e scoprirne i segreti. Ma all’epoca c’erano pochi grattacieli per l’Aquila, e così mia madre decise di iscrivermi a karate. Lì passai otto anni a prendere ceffoni cazzotti e calci volanti sulle gengive da parte degli amati compagni di corso, in un clima cameratesco che cominciava a influire in modo indelebile sulla mia psiche. A 7 anni rincorrevo lucertole per la strada accanto a casa per scuoiarle e vederle contorcersi dal dolore. A 11 sfogavo la mia rabbia contro Marco, detto il Belengo, un simpatico ragazzetto smoccolato e inocchiolato che a fatica distingueva a trenta centimetri la sagoma dello scheletro di un mammut da quella (forse neanche troppo diversa adesso che ci ripenso a distanza di anni, almeno per le corna) del mio professore delle elementari. Marco era lo scemo del villaggio, il tizio da deridere a tempo perso e , naturalmente, l’oggetto su cui far ricadere le colpe di tutti. Fu accusato, ingiustamente, in cinque anni, di aver rubato zaini e cartelle di una ventina tra alunni e alunne, di aver appeso il fuoco ai registri di classe, di aver mandato in frantumi le finestre di una decina di aule, di aver scritto a caratteri cubitali sulla lavagna “la maestra Teresa è una bochinara” con una ci sola (perché all’epoca oltre che stupido era anche caprone), di aver portato a scuola uno stuolo di topi in età riproduttiva e averli liberati per i cessi dei bagni, e fonti meno accreditate lo vedono anche come il responsabile del terremoto che colpì l’irpinia nell’80, ma queste sarebbero notizie da verificare, a tutt’oggi nessuno ha fatto ancora chiarezza. A 11 anni scoprii finalmente la droga, e da allora, per i 2 anni successivi, mi impelagai nelle nefaste conseguenze della dipendenza, e dell’astinenza dalla sostanza tanto agognata. La sostanza in questione erano le treccine Mulino Bianco, che consumavo regolarmente la mattina, in numero di 2 (4 la domenica) , altre 2 il pomeriggio, per finire con un richiamino la sera, prima di andare a letto, in numero variabile da 4 a 6 a seconda delle aspettative della serata, e del tempo che mancava prima dell’inizio dei film a luci rosse che retequattro programmava a randello nei suoi palinsesti per pippaioli e mariti insoddisfatti. Fu allora che conobbi i vari Alvaro Vitali, o le cosce lunghe della Fenech, e ancora le docce della Buscè, che a poco a poco mi misero in contatto con Federica, la mano amica che non tradisce mai. Cinema trash riesumato a forza, su cui erano cresciute generazioni. In quel tempo presi 16 kg in due mesi e mezzo, e fu allora che i miei decisero di mandarmi a nuoto. Ma lì mi vergognavo, così ripiegai nell’atletica leggera. Dopo la prima lezione ripiegai anche il completo da atletica leggera, con cura, e decisi che la mia improvvisa, e fulminante, carriera sportiva sarebbe finita lì.
Ad un tratto comparve la playstation. Ma ero strano, io. Alla playstation preferivo le figurine panini, e alle figurine panini preferivo i panini, con speck uovo e cetriolini sott’olio, di cui mi cibavo a gruppi di 16 tentando di battere il record del mio amico d’infanzia Francesco, che con inspiegabili giochi di magia fagocitava cetriolini a gruppi di 27 col resto di 4 . Non so spiegarmi bene il perché, ma non mi sentivo molto accettato, in quel periodo. Sarà stato che a 14 anni ero alto 1,44 contro il metro e settantadue di Francesco. O forse il fatto che pesavo settantadue kg, contro i 44 di Francesco, si, sempre lui. O per i denti a castoro, o ancora per l'acconciatura che poi Matt Groening rese celebre sulle spalle di Telespalla Bob (e, ci tengo a sottolinearlo, ancora non ho visto un soldo dico uno per l’indebita appropriazione della parrucca da uomo cavernicolo che mi contraddistingueva). Ma, era come era, le ragazze a qual tempo erano merce da sfottere, una razza diversa che non andava toccata per paura di rimaner contagiati. Poi cambiarono le cose, e si invertirono i ruoli. E, nonostante non aspettassi altro che una donna che mi toccasse, ciò non succedeva. Se avveniva era per sbaglio, o per intimarmi a ceffoni di allontanarmi.
Un giorno mi dichiarai a una donna. Si chiamava Giulia, ed era magrissima. Buona da tagliarci il tonno, per quant’era magra. Complementari, questo si. Insieme raggiungevamo il peso di 2 persone normali, ma divisi difficilmente l’avreste scambiata per qualcosa di più del mio impermeabile, o del sacchetto della merenda (vuoto, sia chiaro). Per telefono. Lo ricordo come fosse ieri. E quella fu la prima mazzolata tra capo e collo della mia vita. Piansi. Piansi. E piansi ancora. Il terzo giorno mio padre si decise a chiamare l’idraulico, credendo che il bacino artificiale da me creato dipendesse da una perdita in un tubo dell’acqua, dalle parti della mia stanza.
Per dimenticare la batosta, cominciai a suonare al conservatorio. Suonai otto anni, quando finalmente decisero di aprirmi. Nel frattempo però le mie aspirazioni erano cambiate.
Un giorno, senza preavviso, intorno ai 14 anni, decisi di diventare un intellettuale.
Poi mi informai, e seppi che nell’epiteto “intellettuale” all’epoca erano annoverati nientepopòdimenoche personaggi del calibro di un Mughini ancora in buoni rapporti con l’ottico di fiducia, o un\una Platinette allora emergente (di certo non passava inosservato\a) o un Vittorio Sgarbi che veniva pagato per allentare buffi e ganci da pugile a destra e a mancina, e smadonnare in cirillico antico in tv in un programma tutto suo. Allora compresi che rimanere ignorante sarebbe stato il male minore.
La primavera del 2000 diventai fascista.
L’estate, di quello stesso anno, mi consideravo un anarchico convinto. Poi mi informai, e capii cosa voleva significare.
Fu così che diventai comunista. Mi sentivo anche ecologista in quel periodo. Molto pluralista. Ad un tratto però cambiai, e diventai classista. A 15 anni lavorai il primo giorno in vita mia, per un teatro cittadino che mi sballonzolava su e giù per la città come bassa manovalanza ai servigi di attorini di piccolo calibro. A quel punto potevo considerarmi di diritto, a tutti gli effetti, stakanovista, e aggiunsi un altro “ista” alla lista degli epiteti. In ordine, poi, fui indipendentista basco, arrivista e opportunista ma all’occorrenza anche socialista; marxista, pacifista e leninista, banchista in un piccolo bar del centro, esistenzialista, maoista e sostenitore di Beriscia. Un bel giorno, essendo finiti i termini, cominciai a invertarne di nuovi. E allora ricordo il periodo Deandreista, Chegueravista, Informativista, poi Guccinianista e poi ancora Deandreista.
Poi mi accorsi che ancora non mi ero fregiato dell’epiteto di ciclista. Comprai una bici. Un casco. Ginocchiere, cavigliere, polsini, bici di riserva, computer di bordo da bici, ruota di scorta e affittai un team di gregari con l’intenzione di partecipare alla l’Aquila-San Pozzo D’orsola Scurcola Marrucino, piccolo paesino abruzzese non segnato sulle carte che vantava come residenti: il sindaco, la scrofa Geltrude (che da sola rappresentava il 70% del PIL locale, e all’occorrenza anche gingillo con cui il sindaco soleva divertirsi nei momenti di magra) 2 lupi famelici, 3 galline (vecchie) e un brodo (buono); primo premio, una coppa, o un prosciutto, a scelta, simpatico dono da parte dell’ei fu concubino di Geltrude, scomparso poco prima in circostanze ancora poco chiare. Comprai anche un cronometro, e un metronomo.
Poi venni a sapere che il metronomo serviva a tutt’altro. Appesi al chiodo la bicicletta, allora. E il chiodo si ruppe. La forcella della bicicletta mi cadde sul piede frantumandomi il ditone. Abbracciai la chitarra, quindi; che si tirò indietro sdegnosamente, indispettita.
Finalmente un giorno, intorno ai 17 anni, mi stufai di tutti questi “ista”. E così, giusto per essere coerente, diventai Fancazzista, e lì rimasi.

Continua.. (forse)